Dopo 24 ore di trattative, passa la linea “realista” di Italia e Germania. Inserite clausole su crediti di carbonio e revisione biennale. Obiettivo finale: neutralità climatica nel 2050
L’Unione europea ha trovato un compromesso sul nuovo obiettivo climatico per il 2040: riduzione del 90% delle emissioni nette di gas serra rispetto ai livelli del 1990, con la possibilità di utilizzare meccanismi di compensazione e flessibilità per evitare impatti troppo rigidi sulle economie nazionali. L’intesa, raggiunta nella notte al termine di oltre 24 ore di negoziati serrati tra i ministri dell’Ambiente riuniti a Bruxelles, rappresenta una tappa cruciale nel percorso verso la neutralità climatica del 2050 prevista dalla legge europea sul clima. Il compromesso politico L’accordo è arrivato dopo settimane di tensioni tra i Paesi del Nord Europa, favorevoli a un obiettivo “puro” di riduzione delle emissioni, e quelli dell’area mediterranea e centro-orientale, che chiedevano più gradualità e strumenti di compensazione per tutelare industria, agricoltura e trasporti.
Decisiva la posizione dell’Italia, sostenuta da Germania, Polonia e Repubblica Ceca, che ha insistito per un approccio “pragmatico, tecnologicamente neutrale e attento alla competitività produttiva”. Le novità principali Nel testo approvato a maggioranza qualificata (contrari solo alcuni Paesi nordici), viene confermata la possibilità per gli Stati membri di contabilizzare fino al 5% di crediti internazionali di carbonio extra-Ue, cioè progetti di riduzione delle emissioni realizzati in Paesi terzi. Un ulteriore 5% di crediti esteri potrà essere utilizzato per coprire gli sforzi nazionali, aprendo la strada a un mercato globale del carbonio coordinato con le regole dell’Accordo di Parigi. È inoltre prevista una clausola di revisione biennale: ogni due anni la Commissione europea dovrà verificare, sulla base dei dati scientifici e dell’andamento economico, la compatibilità del percorso con l’obiettivo finale della neutralità climatica. Potranno quindi essere corretti, in senso più o meno restrittivo, i target intermedi. La traiettoria verso il 2050 Con questa decisione, l’Ue definisce il primo passo concreto della “fase due” del Green Deal, quella che guarda oltre il 2030, quando l’attuale obiettivo è fissato a -55%.
Il nuovo target del -90% rappresenta un ulteriore salto, ma con una logica diversa: non più obiettivi imposti “dall’alto”, bensì percorsi nazionali differenziati, con margini di scelta sulle tecnologie da utilizzare. In pratica, ogni Stato potrà costruire la propria traiettoria, combinando energie rinnovabili, nucleare di nuova generazione, biocarburanti, idrogeno e cattura della CO₂, in funzione della propria struttura economica e produttiva. Gli effetti economici La partita è tutt’altro che secondaria. Secondo le stime della Commissione, per centrare la riduzione del 90% serviranno investimenti aggiuntivi per oltre 800 miliardi di euro l’anno tra settore pubblico e privato, con ricadute enormi su energia, mobilità, edilizia e industria pesante.

Da qui l’esigenza di “flessibilità” sollevata dai Paesi più industrializzati, che temono una perdita di competitività e di posti di lavoro se l’Europa continuerà a correre più velocemente del resto del mondo. La possibilità di utilizzare crediti di carbonio esteri e tecnologie di compensazione, come la riforestazione o i sistemi di cattura della CO₂, è vista come una valvola di sicurezza per evitare scossoni economici. La partita politica Dietro la formula tecnica dell’accordo, si delinea la nuova geografia politica del Green Deal europeo. Dopo anni di rigidità e obiettivi percepiti come punitivi da molti governi, il blocco mediterraneo – Italia in testa – ha imposto una visione più equilibrata, che punta alla sostenibilità ambientale ma anche sociale ed economica. Non a caso, la clausola di revisione biennale e l’apertura ai crediti internazionali sono considerati un successo politico del fronte del Sud, capace di frenare la linea più “ideologica” del Nord. Prossime tappe Il testo approvato dovrà ora essere recepito dal Parlamento europeo e diventerà la base per i futuri target settoriali su energia, industria, agricoltura e trasporti, che saranno presentati dalla nuova Commissione entro il 2026.
Sarà poi il Consiglio europeo, nel 2027, a verificare i progressi complessivi e a decidere eventuali aggiustamenti. Un’Europa più pragmatica In sostanza, l’Unione europea ha deciso di non arretrare sugli obiettivi climatici, ma di cambiare metodo: meno ideologia, più pragmatismo, più spazio ai singoli Stati. Il nuovo equilibrio politico segna l’inizio di una stagione diversa, in cui la transizione verde dovrà convivere con la realtà industriale e occupazionale, con l’obiettivo di non trasformare la lotta al cambiamento climatico in una crisi economica.







