L’onda lunga della finanza sostenibile arriva nei consigli d’amministrazione di banche e imprese. In Italia, la percentuale di imprese che lega la retribuzione dei vertici aziendali a obiettivi ambientali, sociali e di governance (Esg) ha conosciuto un vero e proprio balzo: dal 30% nel 2018 si è saliti all’83% nel 2022. Il dato emerge dalla Relazione annuale 2024 della Banca d’Italia e segna un netto allineamento delle aziende italiane con i principi della responsabilità sociale d’impresa e della transizione ecologica.
Obiettivi ambientali e sociali nei contratti retributivi
La leva retributiva – lo strumento forse più incisivo per orientare i comportamenti dei manager – si è così trasformata in un alleato della sostenibilità. O almeno nelle intenzioni. In media, il 20% del bonus variabile di breve termine e il 22% di quello di lungo termine dei ceo è ora direttamente collegato a performance Esg. Non si tratta solo di dichiarazioni di principio: tra gli indicatori più ricorrenti figurano la riduzione delle emissioni di CO₂, l’inclusione delle diversità nei team di lavoro, l’equilibrio di genere e la sicurezza sul luogo di lavoro.
Obiettivi troppo facili? Il rischio greenwashing

Ma se la crescita è netta, non mancano i motivi per interrogarsi sull’effettiva efficacia dei criteri adottati. Secondo Banca d’Italia, il 94% delle imprese italiane ha dichiarato di aver raggiunto (o addirittura superato) gli obiettivi Esg prefissati per l’erogazione dei compensi variabili. Un dato che, da un lato, testimonia l’impegno delle aziende, ma dall’altro solleva il sospetto che le metriche adottate siano poco sfidanti o mal calibrate. Non a caso, la Relazione richiama l’attenzione sul rischio di greenwashing retributivo, una pratica che svuota di senso gli impegni di sostenibilità e può minare la credibilità dell’intero sistema.
Nessun impatto negativo sulle performance
Dal punto di vista macroeconomico, tuttavia, il collegamento tra obiettivi Esg e remunerazione non sembra aver prodotto effetti collaterali negativi. L’analisi della Banca d’Italia non rileva impatti significativi su fatturato, produttività o occupazione. Anzi, nei casi migliori, l’integrazione delle metriche Esg ha funzionato come un moltiplicatore reputazionale e di coesione interna, contribuendo a consolidare il posizionamento competitivo delle aziende.
L’Italia corre più veloce dell’Europa Il confronto internazionale evidenzia una convergenza tra Italia ed Europa. Secondo la consultazione pubblica dell’Esma (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), oltre il 70% delle grandi società quotate in Francia, Germania e Paesi Bassi adotta criteri Esg nella definizione delle politiche di remunerazione. Tuttavia, l’Italia si distingue per la velocità con cui ha colmato il divario e per la significativa quota di aziende – comprese molte non quotate – che hanno scelto di introdurre queste pratiche in modo volontario, ben prima dell’entrata in vigore dei vincoli normativi della Csrd e della tassonomia verde.
Credibilità e trasparenza per evitare derive
L’evoluzione dei bonus sostenibili si inserisce dunque in un contesto più ampio, dove la credibilità degli obiettivi e la trasparenza nella misurazione dei risultati saranno fattori decisivi per evitare derive opportunistiche. Serve un ulteriore sforzo per standardizzare gli indicatori, armonizzare le metriche e rafforzare la vigilanza. In gioco non c’è solo la coerenza delle strategie aziendali, ma anche la fiducia degli investitori e dell’opinione pubblica in una finanza davvero al servizio dell’ambiente e della società.







