Cresce l’allarme tra le imprese: “Non indebolite le direttive europee sulla sostenibilità”
Una richiesta forte e chiara arriva da oltre 150 aziende europee e grandi investitori istituzionali: non ridurre l’ambizione delle norme comunitarie in materia di finanza sostenibile. Attraverso una dichiarazione congiunta, sottoscritta da 198 organizzazioni e promossa da Eurosif insieme ad altre reti europee, il mondo imprenditoriale ha rivolto un appello alle istituzioni UE per salvaguardare i pilastri fondamentali delle direttive CSRD (sul reporting di sostenibilità) e CSDDD (sulla due diligence aziendale). Tra i firmatari spiccano nomi del calibro di Allianz, Ikea (Ingka Group), Nokia, EDF, Signify, Vattenfall, Nordea e Triodos Bank.
In discussione modifiche che ridurrebbero l’impatto delle norme
Le preoccupazioni nascono dal dibattito in corso al Parlamento e al Consiglio europeo, dove sono allo studio modifiche che potrebbero limitare notevolmente l’ambito di applicazione delle due direttive. In particolare, si sta valutando di applicare gli obblighi di rendicontazione solo alle aziende sopra i 1.000 dipendenti e con oltre 450 milioni di fatturato, riducendo così le imprese coinvolte da 43.000 a circa 11.700. Alcune proposte spingono addirittura per alzare l’asticella a 3.000 dipendenti, con effetti ancora più restrittivi. Anche sulla due diligence si ipotizza di escludere le imprese sotto i 5.000 dipendenti e 1,5 miliardi di fatturato, lasciando fuori gran parte del tessuto produttivo europeo.
Le richieste del mondo imprenditoriale
Nel documento condiviso, le aziende firmatarie chiedono con forza di preservare gli elementi essenziali delle direttive europee in materia di sostenibilità, per evitare di compromettere obiettivi cruciali come la trasparenza, la responsabilità aziendale e la transizione verde. Tra le principali richieste emerge la volontà di mantenere l’obbligo di doppia materialità su tutti i temi ESG, considerato uno strumento fondamentale per valutare in modo completo l’impatto ambientale e sociale delle imprese. Le aziende propongono inoltre di applicare la direttiva CSRD almeno alle imprese con più di 500 dipendenti, garantendo al contempo un certo grado di flessibilità nella condivisione dei dati lungo la catena di fornitura, in modo da rendere il sistema più efficace e meno oneroso. Viene anche sottolineata la necessità di rendere obbligatori piani di transizione climatica concreti e misurabili, e di mantenere una due diligence fondata sul rischio, piuttosto che unicamente sulle dimensioni aziendali. Secondo i promotori dell’appello, regole chiare e ambiziose in materia di sostenibilità non rappresentano un ostacolo, ma un’opportunità: contribuiscono infatti a rafforzare la competitività, aumentare la resilienza delle imprese e attrarre investimenti stabili nel lungo periodo.
La posizione del Ceps: “Serve una riforma profonda, non solo snellimento”
Se da un lato si invoca la protezione dell’impianto normativo, dall’altro emergono posizioni critiche sulla complessità dell’attuale sistema. Il think tank Ceps, in uno studio commissionato dal Parlamento europeo, evidenzia come l’eccessiva frammentazione degli obblighi ESG rischi di trasformarsi in un ostacolo per le imprese, soprattutto le più piccole. Secondo Ceps, il pacchetto Omnibus I, presentato per semplificare le normative, non basta: si limita a ridurre il numero di aziende coinvolte, senza affrontare il nodo strutturale, cioè la sovrapposizione operativa tra CSRD, CSDDD e la Tassonomia UE.
Verso una normativa unica e integrata?
Ceps propone un approccio diverso: armonizzare le regole esistenti, tenendo conto del fatto che le imprese usano gli stessi processi, dati e sistemi per rispondere a più normative. L’idea è quella di creare un unico modello di due diligence capace di soddisfare contemporaneamente le richieste delle tre direttive principali. Solo così – secondo il centro studi – si potrà garantire efficienza normativa, riduzione dei costi e, al contempo, protezione degli obiettivi ambientali e sociali dell’Unione. La proposta si spinge anche oltre, suggerendo all’Ue di costruire una agenda di semplificazione a lungo termine, per una regolazione sostenibile, coerente e trasparente, in grado di coniugare transizione ecologica e competitività industriale.







