L’UE apre alla difesa tra gli investimenti sostenibili

Con una nota pubblicata il 17 giugno, la Commissione Europea ha compiuto un passo sorprendente: riconoscere che investire nella difesa può rientrare nei parametri della finanza sostenibile. L’obiettivo è mobilitare capitali privati per rafforzare la sicurezza dell’Unione, pur mantenendo standard ESG elevati. Una scelta destinata a riaccendere il dibattito etico e politico sul ruolo dell’industria militare.

Il primo test: contribuire alla sostenibilità

Secondo il Regolamento SFDR, per essere definito sostenibile un investimento deve generare un impatto positivo misurabile. Bruxelles afferma che il settore della difesa contribuisce alla resilienza dell’UE e quindi anche alla pace e alla sostenibilità sociale, richiamandosi all’Obiettivo 16 dell’Agenda ONU: promuovere istituzioni solide e una società pacifica.

Il secondo test: non arrecare danno

L’altro criterio SFDR è più spinoso: un investimento non può danneggiare altri obiettivi ambientali o sociali. Le armi letali, per loro natura, pongono sfide etiche evidenti. La Commissione invita a valutare tre elementi: l’eventuale coinvolgimento dell’azienda in armamenti controversi, il rispetto dei principi ONU e OCSE sui diritti umani, e la presenza di processi interni per monitorare questi aspetti. Solo le aziende con standard rigorosi potranno superare questo esame.

Esclusi i produttori di armi controverse, ma non le nucleari

La Commissione chiarisce un punto particolarmente sensibile: le armi nucleari, sebbene controverse in molte politiche ESG, non rientrano tra quelle automaticamente escluse secondo l’SFDR. Le armi chimiche, biologiche, le mine e le bombe a grappolo restano invece fuori dal perimetro della finanza sostenibile.

Nuovi obblighi per le aziende della difesa

Per essere considerate sostenibili, le aziende dovranno rendere pubblici dati più dettagliati, come la provenienza geografica dei ricavi e la tipologia dei prodotti. Servirà una maggiore trasparenza sulle politiche di due diligence, con impegni concreti al rispetto delle normative UE, nazionali e internazionali. Un cambiamento non solo industriale, ma anche culturale.

Sfida agli investimenti tradizionali

Questo approccio mette sotto pressione le strategie ESG convenzionali, che spesso escludono interi settori a priori. La Commissione propone invece un’analisi caso per caso, che richiederà più competenza, attenzione e coinvolgimento da parte degli investitori. Ma anche il settore militare dovrà adeguarsi, rafforzando pratiche di governance e rispetto dei diritti umani.

Il nodo delle esportazioni: serve una strategia comune

Bruxelles richiama anche il tema delle licenze per l’export di armamenti. Attualmente sono i singoli Stati a concederle, ma un reale impegno verso una difesa europea sostenibile richiederebbe una maggiore centralizzazione. Solo così si potranno garantire coerenza normativa e credibilità internazionale.

Più responsabilità per chi finanzia

Gli investitori che sceglieranno di puntare sulla “difesa sostenibile” dovranno essere più attivi nel monitorare le aziende finanziate, verificare il rispetto delle regole e promuovere miglioramenti continui. Non si tratta solo di seguire una nuova tendenza, ma di assumersi nuove responsabilità in un contesto geopolitico in rapida evoluzione.