Un cambio di paradigma che divide l’Europa

Era nell’aria da mesi, ma ora è ufficiale: l’Unione europea ha autorizzato il primo fondo d’investimento in armi a essere classificato come “sostenibile”. Una decisione che segna una svolta storica — e controversa — nel modo di intendere la finanza sostenibile. Se fino a ieri i fondi ESG (Environmental, Social and Governance) escludevano rigorosamente l’industria bellica, oggi la “difesa” entra a pieno titolo tra i settori finanziabili con etichetta verde.

Dalla finanza etica alla finanza di guerra

Negli ultimi mesi, il riarmo è diventato una delle priorità strategiche dell’Unione europea, al pari della competitività economica. Con il piano ReArm Europe, da centinaia di miliardi di euro, Bruxelles punta a potenziare la produzione militare, anche attraverso l’afflusso di capitali privati. Parallelamente, la direttiva Saving and Investment Union mira a indirizzare parte dei 10.000 miliardi di euro depositati sui conti correnti dei cittadini europei verso investimenti produttivi. E, nel clima geopolitico attuale, la destinazione di quei capitali sembra già scritta: l’industria della difesa.

“Non c’è sostenibilità senza sicurezza”: la nuova narrativa

Negli ambienti istituzionali e finanziari è sempre più diffuso uno slogan destinato a ridefinire i confini del concetto di sostenibilità: “Non c’è sostenibilità senza sicurezza.” Sotto questa nuova interpretazione, anche il settore militare può essere considerato “compatibile” con i criteri ESG, perché – si sostiene – la sicurezza nazionale è condizione necessaria per garantire stabilità economica e sociale. È una lettura che ribalta secoli di tradizione etica e che, di fatto, apre la strada a un’ibridazione tra finanza sostenibile e industria bellica.

Un’etichetta “green” dai contorni sfumati

Il fondo europeo in questione ha stabilito alcuni criteri di esclusione: non potrà investire in imprese coinvolte nella produzione di mine antiuomo, armi chimiche o biologiche e uranio impoverito. Resta tuttavia la possibilità di finanziare tutte le altre tipologie di armamenti convenzionali, rendendo la distinzione tra “armi sostenibili” e “armi non sostenibili” sempre più sottile e difficile da giustificare.

Una decisione che cambia il senso della finanza sostenibile

Con questa scelta, l’Unione europea sembra archiviare un decennio di politiche dedicate a definire criteri rigorosi per la finanza sostenibile, ora sempre più esposta a interpretazioni politiche e strategiche. L’inclusione della difesa tra i settori finanziabili pone domande cruciali:
può davvero essere “sostenibile” ciò che contribuisce al conflitto, anche se in nome della sicurezza? La risposta determinerà non solo la credibilità dell’Europa in materia di ESG, ma anche il futuro della finanza etica come strumento di pace e coesione sociale.