Il vero capitale di un’impresa
Gestire un’azienda significa, prima di tutto, gestire persone. Le risorse umane sono il cuore pulsante di qualsiasi attività: portano competenze, know-how, visione, tempo. Eppure, in Italia, questa consapevolezza sembra ancora lontana. A confermarlo è lo studio “European Workforce Study 2025” curato da Great Place to Work, società attiva in oltre sessanta Paesi nel miglioramento delle performance aziendali attraverso il benessere dei collaboratori.
L’Italia è fanalino di coda in Europa
L’indagine – condotta su 25.000 lavoratori in 19 Paesi europei – non lascia spazio a dubbi: l’Italia è il Paese peggiore in Europa per capacità di retention, ossia di trattenere i dipendenti. Il 40% degli italiani intervistati ha dichiarato di voler cambiare lavoro, contro una media europea del 31%. Il dato è ancora più allarmante se si guarda alla fascia 18-24 anni: i più giovani, semplicemente, non si riconoscono nel mondo del lavoro italiano.
Giovani e lavoro: due visioni che non si incontrano
La Generazione Z mostra un rapporto completamente diverso con il lavoro rispetto ai boomer o ai millennial: meno disposti al sacrificio, più attenti alla qualità della vita, cercano flessibilità, benessere psicofisico, smart working e tempo per sé. Il cosiddetto “me time” è ormai un criterio decisivo nella scelta di un impiego, anche più del salario.
Per chi è cresciuto con l’idea che ambizione e dedizione siano le chiavi del successo, questa nuova visione può risultare spiazzante. Ma ignorarla rischia di essere un errore strategico per le imprese.
Quiet quitting e produttività in calo
A peggiorare il quadro, c’è un fenomeno sempre più diffuso in Italia: il “quiet quitting”. Dipendenti che, pur restando al loro posto, si disimpegnano, fanno il minimo indispensabile, si scollegano mentalmente dall’azienda. Secondo lo studio, questa passività è favorita da una cultura aziendale che non valorizza, non ascolta e non fidelizza.
Il nodo manageriale: ascolto, empatia, coinvolgimento
In tempi di guerre commerciali, tensioni geopolitiche e grandi summit globali, si rischia di dimenticare l’essenziale: la relazione tra manager e dipendenti. È lì che si gioca la vera partita del lavoro. Le aziende italiane devono imparare a parlare con i propri collaboratori, raccogliere feedback, adattare stili di leadership e organizzazione.
Lo stipendio non basta più
Il salario resta importante, ma non è più sufficiente per garantire motivazione e permanenza. Oggi servono cultura del benessere, opportunità di crescita, equilibrio tra lavoro e vita. È un lavoro complesso, che richiede attenzione e tempo. Ma è anche ciò che distingue un buon manager da uno mediocre.







