Il gap digitale frena l’Italia, chiuderlo potrebbe generare quasi 50 miliardi di pil aggiuntivo


La povertà educativa non è solo un problema individuale: blocca la creazione di 3,2 milioni di posti di lavoro. Per affrontare i nodi della formazione servono interventi di lungo periodo: la filantropia può fare la sua parte

(La Repubblica, Affari&Finanza – Anna Maria Poggi, Presidente della Fondazione CRT)

Quando si parla di intelligenza artificiale e innovazione digitale, spesso il dibattito si concentra sugli algoritmi, sulle implicazioni etiche o sull’efficienza dei sistemi. Ma il nodo vero per l’Italia non è la tecnologia in sé: è la capacità delle persone di comprenderla, utilizzarla e governarla. Senza questa capacità, l’innovazione rischia di diventare uno strumento di esclusione, più che di crescita.

L’ascensore sociale del Paese è oggi bloccato. Secondo uno studio che abbiamo condotto insieme a The European House Ambrosetti (Thea), il background socio-economico e culturale delle famiglie continua a determinare i percorsi formativi e lavorativi dei giovani.

Il tema della povertà educativa

La povertà educativa non è solo un problema individuale: limita le opportunità, frena la crescita complessiva e amplifica il divario tra domanda e offerta di competenze. In Italia mancano 2,2 milioni di lavoratori con titolo di studio secondario superiore o terziario, e la povertà educativa blocca la creazione di circa 3,2 milioni di posti di lavoro. Lo studio stima che basterebbe formare un quinto dei lavoratori meno istruiti per colmare questo gap.

Il tema si intreccia strettamente con le competenze digitali. Solo il 56% dei giovani under 19 possiede competenze di base, contro il 73% della media europea, mentre oltre il 40% delle offerte di lavoro richiede capacità digitali avanzate. Questo significa che, già oggi, molti posti rischiano di rimanere scoperti non per mancanza di domanda, ma per carenza di competenze adeguate. Senza investire nella conoscenza, l’innovazione rischia di accentuare le diseguaglianze e trasformare la tecnologia in un fattore di esclusione sociale.

Il ruolo della filantropia

In questo contesto, la filantropia può avere un ruolo concreto. Le fondazioni possono guardare oltre l’urgenza quotidiana, sostenere progetti di lungo periodo e creare condizioni per la collaborazione tra scuole, università, imprese e società civile. Non si tratta di sostituirsi alle istituzioni pubbliche, ma di indicare priorità, favorire percorsi sperimentali e ridurre asimmetrie che altrimenti resterebbero strutturali. Due esperienze mostrano come questa prospettiva si traduca in pratiche concrete. Il Fondo per la Repubblica Digitale sostiene programmi di formazione per giovani, lavoratori in transizione e persone a rischio di esclusione, rafforzando competenze digitali e cittadinanza digitale. L’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale (AI4I) – su cui abbiamo investito a Torino grazie alla collaborazione tra centri di ricerca, imprese e mondo formativo – trasferisce innovazione nelle filiere produttive e formative, dalle grandi aziende alle Pmi, dalle università alle scuole tecniche. Entrambi mostrano che la tecnologia diventa significativa solo se accompagnata da logiche di sistema per favorire competenze diffuse e accessibili.

Le condizioni per il futuro

L’attenzione alla povertà educativa e alla diffusione delle competenze digitali non è un’opzione: è una condizione per il futuro. Abbiamo stimato con Teha che, se l’Italia riuscisse a colmare questi divari, sarebbe possibile generare fino a 48 miliardi di euro di Pil aggiuntivo e ridurre di circa due milioni il numero di persone in condizione di povertà ed esclusione sociale.

Qui credo che il ruolo delle fondazioni possa essere decisivo, non come protagoniste della trasformazione, ma come investitori di lungo periodo e hub di collaborazione. Nel 2024 le Fondazioni di origine bancaria confermano il loro peso nell’economia nazionale, con il 42% del patrimonio investito nel mercato domestico.

La forza delle fondazioni risiede nella capacità di mettere insieme saperi e risorse in modo sistematico, sperimentando soluzioni che il mercato o la politica spesso non possono assumere per tempi, rischi o orizzonti di rendimento. Possono fungere da hub, traducendo risorse finanziarie in percorsi di conoscenza e opportunità concrete. In un Paese dove la povertà educativa e il gap di competenze digitali rischiano di bloccare milioni di giovani, le fondazioni hanno la possibilità di incidere sulla capacità di sviluppo del sistema, sostenendo progetti capaci di trasformare l’innovazione da privilegio di pochi in strumento di crescita condivisa.