Fondazioni, casse e fondi pensione gestiscono quasi la metà del PIL italiano

Il dodicesimo Report annuale di Itinerari Previdenziali, presentato da Alberto Brambilla a Milano, mette nero su bianco una realtà poco nota ma fondamentale per l’economia italiana: il patrimonio complessivo degli investitori istituzionali del nostro Paese ha raggiunto i 1.030 miliardi di euro. Una cifra colossale, che equivale al 47% del Prodotto Interno Lordo nazionale. Rispetto al 2007, il dato è quasi raddoppiato, a conferma di una crescita costante. Il sistema è articolato e comprende soggetti operanti nel welfare contrattuale e fondazioni, tra cui le fondazioni di origine bancaria, le casse di previdenza privatizzate, i fondi pensione negoziali e preesistenti, i fondi pensione aperti, i piani individuali pensionistici (Pip), le compagnie assicurative ramo vita, e le risorse destinate al welfare sanitario integrativo e aziendale.


Ma allora, perché l’Italia è ancora indietro rispetto al resto del mondo?

Nonostante la solidità dei numeri, l’Italia resta in forte ritardo nel confronto internazionale. Basti pensare che il nostro Paese si colloca solo al quindicesimo posto tra i trentotto membri dell’OCSE per dimensione patrimoniale degli investitori istituzionali. Ma il dato più critico riguarda il rapporto tra patrimonio dei fondi pensione integrativi e ricchezza nazionale, dove ci fermiamo all’11,7%, contro il 20,4% della Danimarca, che guida la classifica, e valori ampiamente superiori in Germania, Paesi Bassi e Regno Unito. Anche a livello globale, considerando i primi 300 fondi per dimensione, l’Italia si piazza appena al 196° posto, grazie all’Enpam, l’ente previdenziale di medici e odontoiatri. Si tratta di segnali chiari: la previdenza privata integrativa nel nostro Paese non ha ancora preso il volo.


Lentezza normativa e disinformazione: i veri ostacoli alla crescita

Il problema principale non è solo economico, ma anche culturale e normativo. In Italia mancano ancora politiche attive, organiche e stabili per incentivare l’adesione alla previdenza complementare. Mentre nel Regno Unito e in Germania è stata introdotta da tempo l’adesione automatica ai fondi pensione per i nuovi assunti, da noi si procede ancora con una logica volontaristica, lasciando che siano i singoli lavoratori a scegliere, spesso senza le informazioni necessarie. Il report sottolinea come la mancanza di comunicazione e formazione sia uno dei nodi più urgenti da sciogliere. Per esempio, il TFR lasciato in azienda da chi non aderisce a un fondo pensione potrebbe tornare a essere destinato automaticamente alla previdenza integrativa, misura già adottata in passato ma poi abbandonata. Inoltre, si auspica la reintroduzione del fondo di garanzia per le micro e piccole imprese e strumenti che rendano più semplice e conveniente aderire.


Chi ottiene i risultati migliori tra fondazioni e fondi pensione?

Nonostante le difficoltà, non mancano esempi virtuosi. Le fondazioni e le casse privatizzate hanno dimostrato, grazie a una gestione finanziaria diversificata e prudente, di ottenere risultati positivi anche in periodi complessi. I loro rendimenti medi, spesso superiori all’inflazione, hanno garantito stabilità e valore nel tempo. Anche i fondi pensione mostrano buone performance, pur con qualche differenza tra le varie tipologie. In generale, il rendimento medio composto su base quinquennale si attesta su valori superiori al 3%, a fronte di un’inflazione contenuta. A colpire è la capacità delle fondazioni di mantenere un vantaggio stabile negli anni, nonostante il contesto economico incerto.


Dove finiscono i soldi della previdenza? Uno sguardo agli investimenti

Un’analisi degli asset rivela come le fondazioni investano una quota consistente del loro patrimonio, pari al 42%, nel settore immobiliare. Questo dato evidenzia una strategia di lungo periodo e un orientamento alla stabilità. I fondi pensione, invece, privilegiano investimenti più liquidi, come obbligazioni e titoli di Stato, con una presenza molto più limitata in strumenti alternativi e azionari. Il risultato è un portafoglio meno rischioso, ma anche con potenzialità di rendimento inferiori, soprattutto nel lungo termine. Complessivamente, però, il sistema degli investitori istituzionali italiani si conferma prudente e orientato alla conservazione del capitale, più che alla sua espansione aggressiva.


Il futuro della previdenza in Italia: opportunità o occasione mancata?

L’Italia ha davanti a sé un’occasione straordinaria. Con un patrimonio di mille miliardi già in gestione e un sistema di welfare privato in continua espansione, potrebbe rafforzare in modo deciso il secondo pilastro previdenziale. Ma per riuscirci, servono scelte politiche coraggiose, riforme durature e soprattutto una grande opera di informazione e sensibilizzazione. È fondamentale far capire a giovani e meno giovani che la previdenza integrativa non è un’opzione, ma una necessità per garantire il proprio futuro. Senza un intervento strutturale, il rischio è che questi mille miliardi restino un capitale sottoutilizzato, incapace di sprigionare tutto il loro potenziale per la crescita economica del Paese.