La nuova frontiera della finanza green”

Dimenticate le foreste rigenerate o le tecnologie a zero emissioni: oggi la vera frontiera degli investimenti “sostenibili” sembra essere… l’industria delle armi. A sostenerlo apertamente è il ministro dell’Economia francese Eric Lombard, secondo cui finanziare la difesa rappresenta un atto «responsabile», perfettamente compatibile con i criteri ESG (Environmental, Social, Governance).

Una dichiarazione che suona provocatoria, ma che si inserisce in un dibattito sempre più acceso, accelerato dalla guerra in Ucraina e dall’urgenza strategica del riarmo in Europa. Il vero nodo è: può davvero l’industria bellica essere considerata sostenibile?

Cosa dicono le norme europee

Le attuali normative europee sugli investimenti sostenibili non vietano in modo esplicito gli investimenti nel settore delle armi convenzionali. Le uniche eccezioni riguardano le mine antipersona e le bombe a grappolo, vietate dalle convenzioni di Ottawa (1997) e Oslo (2008), e da specifiche leggi nazionali, come in Italia.

Il regolamento SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) segnala l’esposizione verso armi controverse come un “impatto negativo” da rendicontare, ma non impone l’esclusione. Lo stesso vale per la direttiva CSRD sul reporting di sostenibilità, che chiede alle aziende un’analisi di “doppia materialità”, ma senza vincoli stringenti.

La tassonomia ambientale europea, l’unica attualmente in vigore, non include né esclude il settore. E la tassonomia sociale, che potrebbe affrontare direttamente il tema delle armi, è ferma dal 2022, bloccata tra ritardi e pressioni politiche.

Il rischio di un cortocircuito etico

Secondo i dati Morningstar, i fondi sostenibili (articoli 8 e 9) in Europa gestiscono oltre 6.100 miliardi di euro, pari al 60% degli asset totali. Una cifra colossale che potrebbe rappresentare un’enorme fonte di capitali per l’industria della difesa. Attualmente, però, questi fondi hanno una bassa esposizione al settore: appena lo 0,52% contro l’1,34% degli altri fondi.

C’è chi, come Triodos IM, dice no senza tentennamenti: «L’industria bellica è incompatibile con la finanza sostenibile», afferma Eric Simonnet, portavoce del gestore olandese. Il vero pericolo? Greenwashing etico, ossia far passare per sostenibile un settore che, per natura, è profondamente legato alla violenza e alla distruzione.

Il piano francese: tra fondi pubblici e risparmio privato

Intanto la Francia procede spedita. Ha già stanziato 1,7 miliardi di euro di fondi pubblici per l’industria della difesa e punta a mobilitarne altri 5 attraverso risparmiatori privati. Bpifrance, la banca d’investimenti pubblica francese, ha lanciato un fondo dedicato al riarmo, accessibile con una quota minima di 500 euro, con l’obiettivo di raccogliere 450 milioni nel breve termine.

Anche colossi come Allianz, Tikehau, Sienna IM e MBDA (con l’italiana Leonardo) stanno entrando in partita. Serve capitale, e serve in fretta: secondo stime ufficiali, il fabbisogno delle aziende della difesa europee si aggira tra 1 e 3 miliardi di euro l’anno da qui al 2030.

La spinta (anche) della finanza pubblica europea

La Commissione europea è al lavoro su un piano ancora più ambizioso: mobilitare parte dei 10mila miliardi di euro detenuti nei conti correnti dei cittadini europei. L’idea è rendere questo capitale disponibile per il riarmo attraverso strumenti come obbligazioni, conti deposito incentivati, cartolarizzazioni e defiscalizzazioni mirate.

Anche la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) ha ceduto alle pressioni di Francia e Germania, decidendo di destinare 1 miliardo di euro alla liquidità delle imprese della difesa. E il Parlamento europeo ha chiesto ufficialmente una revisione delle regole della BEI per rimuovere le restrizioni al finanziamento di questo settore.

Se tutto è sostenibile, allora nulla lo è

L’ultima frontiera della finanza “green” si gioca tutta sul linguaggio. Se anche la produzione di armi diventa “responsabile”, cosa resta davvero del concetto di sostenibilità? Il rischio è che la parola ESG venga svuotata, piegata a esigenze geopolitiche ed economiche del momento.

Forse il prossimo passo sarà certificare le munizioni come carbon neutral, ironizza qualcuno. Ma l’ironia cela un problema serio: quando ogni cosa può essere definita sostenibile, allora la sostenibilità perde ogni significato. E insieme a essa, anche la fiducia dei cittadini.