La transizione ecologica, pilastro delle politiche europee per un futuro più sostenibile, si sta rivelando un boomerang per milioni di aziende italiane. Tra certificazioni costose, burocrazia paralizzante e una competizione globale sempre più aggressiva, il rischio di chiusura per molte piccole e medie imprese è concreto. Secondo Confcooperative e Censis, sono 1,5 milioni le aziende a rischio fallimento, con la conseguente perdita di 5,6 milioni di posti di lavoro.

Certificazioni e burocrazia: il peso della transizione

Per adeguarsi ai nuovi standard green, le imprese devono sostenere costi elevatissimi. Solo per ottenere le certificazioni ambientali ISO, una piccola azienda può arrivare a spendere oltre 100mila euro. A questi si aggiungono le consulenze obbligatorie, la formazione del personale, il rinnovo degli impianti e il bilancio di sostenibilità, che può costare fino a 10mila euro. La complessità burocratica è tale che molte aziende sono costrette ad assumere personale dedicato solo alla gestione delle pratiche.

Esclusione dalle filiere e accesso al credito

Chi non riesce ad adeguarsi rischia di essere escluso dalla filiera produttiva. Le grandi aziende, infatti, richiedono ai loro fornitori certificazioni green, rendendole di fatto un requisito obbligatorio. Senza questi documenti, inoltre, le banche non concedono finanziamenti, bloccando di fatto ogni possibilità di investimento e crescita per le imprese.

Dazi ambientali e concorrenza sleale: la Cina osserva e approfitta

Mentre l’Europa impone norme stringenti, i competitor internazionali operano con regole più flessibili. La Cina, in particolare, domina il mercato delle materie prime necessarie per la transizione ecologica, come i metalli rari per batterie e pannelli solari. Il risultato? Le aziende europee sono sempre più dipendenti dalle forniture cinesi, subendo costi altissimi e perdendo competitività.

Un futuro green a quale prezzo?

Il percorso verso la sostenibilità è necessario, ma la sua attuazione deve essere più equilibrata. Imporre scadenze troppo rigide e costi insostenibili rischia di penalizzare proprio quelle aziende che dovrebbero essere protagoniste del cambiamento. La soluzione? Posticipare gli obblighi più stringenti, semplificare la burocrazia e garantire incentivi reali per evitare che la rivoluzione verde diventi un cappio al collo dell’economia europea.