La maggior parte delle banche italiane ha compiuto “progressi complessivamente positivi” nell’integrazione dei rischi climatici e ambientali nelle proprie strategie. I miglioramenti si registrano nella governance, nella selezione degli attivi, nell’engagement e nei modelli di misurazione, ma persistono differenze tra i diversi soggetti vigilati e livelli di maturità ancora eterogenei. La crescente esposizione dell’economia italiana ai rischi fisici e di transizione legati al cambiamento climatico ha portato la Banca d’Italia ad approfondire il proprio ruolo di vigilanza sul fronte ambientale. A partire dal 2021, via Nazionale ha avviato un ciclo di autovalutazioni qualitative e quantitative rivolto agli intermediari vigilati, con l’obiettivo di misurare lo stato di avanzamento dell’integrazione dei rischi climatici e ambientali nei processi aziendali. Nel 2024, l’analisi è giunta a una fase matura: la Relazione annuale fornisce un primo bilancio, definendo i progressi compiuti come “complessivamente positivi”, pur segnalando la necessità di ulteriori sviluppi in alcuni ambiti, in particolare per gli attori di minori dimensioni.

Governance e strategia: gli organi apicali più coinvolti

Uno dei principali avanzamenti riguarda la governance: in un numero crescente di casi, la responsabilità per la gestione dei rischi Esg è stata attribuita formalmente ai consigli di amministrazione o ai comitati rischi, con una crescente diffusione di figure dedicate alla sostenibilità nelle strutture operative. Molti intermediari hanno aggiornato i propri framework strategici, integrando i fattori climatici nella definizione degli obiettivi di medio-lungo termine e nei piani industriali. Alcune realtà bancarie hanno anche sviluppato strategie specifiche per la decarbonizzazione dei portafogli, in linea con gli impegni internazionali Net zero banking alliance.

La selezione dei portafogli si fa più rigorosa

Un’altra area in cui si osservano miglioramenti è quella relativa alla selezione ex ante degli attivi. Diversi intermediari hanno rafforzato i criteri di esclusione, con politiche più severe per i settori ad alta intensità carbonica, come carbone, oil & gas e armamenti, o per attività non in linea con i principi della tassonomia Ue. In parallelo, si diffondono metodologie di scoring Esg interne o acquisite da provider esterni, utilizzate per classificare gli emittenti e orientare le decisioni di investimento. La sostenibilità entra sempre più spesso tra i criteri di rating di credito, specialmente per i clienti corporate, ma anche – in fase iniziale – per il segmento retail e le pmi.

Cresce l’engagement con le imprese partecipate

Una tendenza significativa riguarda anche il rafforzamento dell’engagement attivo da parte degli investitori istituzionali. Alcune sgr italiane hanno avviato dialoghi strutturati con le imprese partecipate su temi ambientali e sociali, chiedendo la definizione di target misurabili di riduzione delle emissioni, pubblicazione di bilanci di sostenibilità, miglioramento della governance. Il fenomeno è particolarmente diffuso nei fondi Esg classificati articolo 8 e 9 ai sensi del regolamento Sfdr, dove la coerenza tra obiettivi dichiarati e comportamenti effettivi è oggetto di crescente attenzione anche da parte dei regulator europei.

Modelli di misurazione ancora in evoluzione

Nonostante i progressi, l’adozione di modelli quantitativi di misurazione dei rischi climatici resta ancora limitata e frammentata. Solo una parte degli intermediari ha implementato metriche di scenario analysis, in grado di simulare l’impatto di diversi scenari climatici su crediti, portafogli finanziari e capitale regolamentare. Le principali difficoltà rilevate riguardano la disponibilità dei dati di base (emissioni Scope 1, 2 e 3), l’integrazione nei sistemi informativi, la formazione delle strutture di risk management e la validazione dei modelli da parte delle funzioni di controllo interno. Alcune banche hanno avviato progetti pilota in collaborazione con istituzioni di ricerca e fintech specializzate in analisi climatica.

Differenze tra operatori: le grandi banche più avanti

L’analisi della Banca d’Italia segnala una forte eterogeneità tra gli intermediari: le grandi banche e le sgr appartenenti a gruppi internazionali mostrano in genere un livello più avanzato di integrazione, sia in termini organizzativi sia nei sistemi di misurazione. Le banche medio-piccole e le società di minori dimensioni risultano ancora in ritardo, soprattutto per mancanza di risorse dedicate, competenze interne e supporti tecnologici. La vigilanza prudenziale continuerà a monitorare l’evoluzione della situazione e, secondo quanto riportato nella Relazione, si attendono ulteriori sviluppi anche in vista delle linee guida europee dell’Eba e degli orientamenti della Bce sull’integrazione dei rischi Esg nei requisiti patrimoniali.