Riforma “Omnibus I”, impatto clamoroso sui numeri
La sostenibilità d’impresa torna sotto la lente della politica europea. La proposta di modifica della Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd), contenuta nella riforma nota come Omnibus I, rischia di avere un impatto dirompente sull’intero impianto di trasparenza green del sistema produttivo. Secondo i dati riportati dalla Relazione annuale 2024 della Banca d’Italia, l’effetto sarebbe una vera e propria falciata: da oltre 8.000 imprese italiane attualmente coinvolte dagli obblighi di rendicontazione si passerebbe a circa 1.200 soggetti interessati. In termini percentuali, si tratta di una riduzione dell’85%.
Effetto domino anche sulla Tassonomia UE

Il ridimensionamento non si limita alla Csrd. Coinvolge anche l’altro pilastro della normativa europea sulla finanza sostenibile: la Tassonomia verde (Regolamento UE 2020/852), che definisce criteri scientifici per stabilire se un’attività economica può essere considerata ambientalmente sostenibile. In base alla stessa proposta di riforma, le imprese italiane obbligate a compilare informazioni sulla propria allineabilità alle attività “green” scenderebbero da circa 8.000 a 600 unità.
La sostenibilità non si ferma: il ruolo delle grandi imprese
Tuttavia, la risposta del sistema produttivo italiano – in particolare delle imprese di maggiore dimensione – appare tutt’altro che passiva. La stessa Banca d’Italia segnala che molte aziende, pur non rientrando più nei vincoli di legge, continuano a redigere volontariamente bilanci Esg, a implementare sistemi di gestione ambientale, a ottenere certificazioni ISO e ad adottare pratiche di economia circolare e inclusione sociale. In diversi casi, si tratta di strategie corporate già consolidate, spesso integrate nei meccanismi di finanziamento (sustainability-linked loans) o nei rapporti con investitori istituzionali.

Effetti collaterali: meno trasparenza e meno comparabilità
La possibile esclusione di migliaia di aziende italiane dai nuovi standard europei comporta un rischio evidente: una riduzione della trasparenza delle informazioni ambientali e sociali messe a disposizione del mercato. La Csrd, com’è noto, prevede l’adozione di standard unici e armonizzati (Esrs), capaci di rendere comparabili e verificabili i dati Esg tra imprese e settori. Il ridimensionamento delle platee soggette agli obblighi rischia quindi di creare asimetrìe informative e un arretramento del mercato in termini di accountability.
La sfida per le pmi: tra semplificazione e reputazione
Se da un lato la riforma risponde alle pressioni delle pmi europee, che lamentano l’eccessivo carico burocratico legato agli obblighi Esg, dall’altro solleva interrogativi su come garantire standard minimi di responsabilità ambientale anche per il tessuto produttivo meno strutturato. In Italia, il rischio è di generare una frattura tra grandi imprese, sempre più impegnate sui temi della sostenibilità, e il resto del sistema economico, potenzialmente esposto a un “effetto rimorchio” in assenza di obblighi normativi.
Verso una sostenibilità selettiva?
La traiettoria che si delinea, almeno nella fase attuale, sembra quella di una sostenibilità selettiva, in cui solo una minoranza di imprese – spesso quelle già sotto i riflettori degli investitori o della stampa – continuerà a investire in rendicontazione Esg, mentre per le altre si apre la strada di un ritorno all’opacità. Resta da capire se, e in che modo, le istituzioni europee vorranno correggere il tiro nella fase finale dell’iter legislativo.







